04 aprile 2023
| Corriere del TicinoSistema finanziario «Banche a rischio sistemico, regole inadeguate per salvarle»
Il 14,1% di capitale «Tier 1» di CS non è bastato per evitare il tracollo della banca. © Keystone/Michael Bulholzer
«La politica ha perso 15 anni di tempo per poi prendere una decisione, in urgenza, nel giro di pochi giorni». Il commento sulla fusione tra UBS e Credit Suisse (CS) ci viene fornito da Marc Chesney, professore di Matematica finanziaria all’Università di Zurigo, dove dirige anche il Centro di competenza per la finanza sostenibile. Chesney è conosciuto, perlopiù Oltralpe e in Romandia, per le sue posizioni critiche sul sistema finanziario. «Le regole di Basilea III sui requisiti di capitale per le banche cosiddette “sistemiche” (too big to fail) introdotte anche in Svizzera dopo la crisi del 2008 non hanno funzionato e non si potevano applicare per salvare il CS perché, di fatto, inadeguati. E questo lo sappiamo da molto tempo, già da quando UBS rischiò il fallimento nell’ottobre 2008».
Capitale insufficiente
Secondo le norme di Basilea III, il requisito minimo di capitale proprio ponderato al rischio (Common Equity Tier 1, CET1) è del 7%, a cui si aggiunge una riserva di protezione del capitale del 2,5%, portando il CET1 totale al 9,5%. Tuttavia, molte banche possono scegliere di detenere livelli di capitale più elevati per aumentare la loro solidità. Credit Suisse aveva dichiarato a fine 2022 un CET1 al 14,1%, eppure ciò non è bastato per far fronte agli enormi deflussi di capitali dei clienti (oltre 110 miliardi) registrati dopo l’annuncio del piano di ristrutturazione nell’ottobre scorso.
Misure governative tardive
Come riferito nei giorni scorsi, dall’ultimo rapporto annuale della Finma è emerso che nel 2019 un gruppo di lavoro composto da membri del Dipartimento federale delle finanze, della Banca nazionale svizzera e della Finma aveva riconosciuto che «i requisiti speciali di liquidità per le banche di importanza sistemica previsti dall’ordinanza sulla liquidità non garantiscono la maggiore resilienza di queste banche richiesta dalla legge bancaria». In altre parole, UBS e CS non avrebbero potuto essere salvate in caso di crisi di liquidità e una liquidazione ordinata di una delle due non sarebbe stata possibile senza un sostegno governativo molto più consistente di quanto previsto in precedenza. Il Consiglio federale, in seguito, ha impiegato tre anni per modificare le ordinanze esistenti sulla liquidità di emergenza, introducendo le nuove misure lo scorso giugno.
«Non c’era bisogno di un gruppo di lavoro per stabilire questo», commenta il professor Chesney, che è anche membro indipendente del consiglio di fondazione di Ethos. «Il requisito minimo di capitale ponderato al rischio per queste banche dovrebbe essere attorno al 20-25%, ciò che corrisponde al requisito in vigore in Svizzera per la concessione di crediti ipotecari. A metà marzo, pochi giorni prima del collasso di CS, Finma e BNS hanno dichiarato che la banca era sufficientemente capitalizzata e liquida. Sarebbe utile, anche per rispetto del cittadino contribuente, sapere quali dati hanno guardato per fare quella dichiarazione. Ho il sospetto che i dati intermedi di bilancio per il primo trimestre 2023 non fossero per nulla buoni e, se è così, non vedo come si sia potuto sostenere che il CS soddisfacesse i requisiti di capitale, oltretutto a pochi giorni dal suo collasso».
Banche più piccole
Nel 2010 una commissione di esperti incaricata dal Consiglio federale pubblicò un rapporto che illustrava come si potessero limitare in modo considerevole i rischi per i contribuenti e per l’economia nazionale derivanti dalle grandi banche. L’anno successivo in Parlamento viene depositata una mozione da parte del gruppo dei Verdi per l’introduzione di un sistema bancario separato (Trennbankensystem).
Secondo la mozione, il rapporto del Governo non approfondiva il tema della separazione tra banche d’investimento e banche commerciali perché lo riteneva «una grave ingerenza nel margine di manovra delle banche». Per finire, la mozione, sebbene adottata al Nazionale, nel 2014 fu respinta a larga al Consiglio degli Stati, principalmente dai deputati borghesi (PLR e l’allora PPD). «I rappresentanti politici che hanno affossato la mozione dovrebbero assumersi le responsabilità di questa decisione», chiosa Chesney. «Abbiamo bisogno di banche più piccole e di una nuova separazione tra banche di deposito e banche di investimento, sul modello della legge Glass-Steagall in vigore negli USA dal 1933 fino alla sua abolizione, decisa dall’allora presidente Clinton, nel 1999. Senza una vera separazione bancaria, le grosse banche assumono rischi importanti convinte, in linea di principio, che non falliranno mai perché saranno salvate dai governi, ovvero a spese dei contribuenti».
Tassare la speculazione
Per stabilizzare il sistema finanziario, il nostro interlocutore, assieme ad altre esponenti del mondo politico, accademico ed economico svizzero, tra cui i ticinesi Dick Marty e Franco Cavalli, è promotore dell’iniziativa «Microimposta sul traffico dei pagamenti senza contanti», la cui raccolta di firme purtroppo si è interrotta a causa dello scoppio della pandemia di COVID-19. «L’instabilità della situazione finanziaria richiede una microtassa sull’enorme volume di pagamenti elettronici, pari minimo a 150 volte il Prodotto interno lordo. Questa microtassa, che non è la Tobin Tax, aiuterebbe a stabilizzare il settore finanziario e in cambio si potrebbero abolire alcune imposte, come l’IVA sui beni di base», spiega il professor Chesney. «Con l’inflazione in aumento questo sarebbe un bene per le famiglie. Ma l’effetto più grande sarebbe quello di limitare la speculazione finanziaria e, forse, evitare altri tracolli come quello che stiamo vivendo con Credit Suisse. Politicamente, però, è molto difficile far passare questa idea, troppi parlamentari rappresentano gli interessi del settore finanziario. Oggi c’è una bella finestra di opportunità per portare avanti questa proposta. Lo stesso vale per la questione della separazione bancaria, il momento è buono».